Il dei Liberal Democratici
al referendum sulla riforma costituzionale

 

I Liberal Democratici per il Rinnovamento, fino dalla loro costituzione, hanno posto al centro della propria azione politica e culturale un obiettivo ambizioso, ma ormai irrinunciabile ed improcrastinabile: contribuire ad arrestare la fase di declino nella quale l’Italia, come il resto d’Europa, è entrata da troppi anni e permetterle di imboccare con decisione la strada della ripresa socio-economica, verso un nuovo “miracolo italiano”.

Per fare ciò, i Liberal Democratici credono fermamente che solo una autentica “rivoluzione liberale”, fondata sull’etica del rigore e della responsabilità, possa consentire al nostro Paese di sconfiggere lo storico blocco sociale conservatore, immobilista e visceralmente antiliberale, che caratterizza e condiziona trasversalmente tutte le forze politiche e l’intera società italiana.

Non è quindi casuale che i primi due paragrafi della nostra proposta programmatica generale siano proprio dedicati alle indispensabili riforme costituzionali ed istituzionali che devono tendere, da un lato, a superare il parlamentarismo conflittuale ed il bicameralismo paritario ormai anacronistico, e, dall’altro, a ridurre sensibilmente i costi e le inefficienze dell’apparato politico e burocratico.

In particolare, con il referendum del 4 dicembre siamo chiamati a votare su una riforma costituzionale che rappresenta un passo fondamentale per dare maggiore efficienza alle nostre istituzioni e per assicurare migliori condizioni per lo sviluppo del Paese nel pieno rispetto dei principi fondamentalissimi della libertà e della democrazia che accomunano noi tutti.

Rispetto alla pluralità di temi affrontati nella riforma, a partire dall’assetto delle Camere sino alla razionalizzazione dei rapporti tra lo Stato e le autonomie territoriali, le risposte fornite dalla presente riforma costituzionale possono essere considerate positivamente. Mediante la specializzazione delle funzioni delle due Assemblee, si consentirà il più equilibrato svolgersi delle attività parlamentari anche mediante il necessario ascolto delle autonomie territoriali. Mediante la revisione del Titolo V si correggeranno i difetti emersi nell’applicazione della precedente riforma del 2001, così consentendo il più efficace determinarsi delle politiche pubbliche, nel senso della chiarezza delle responsabilità decisionali e della riduzione dei costi.

In particolare, sul versante delle istituzioni statali, si prevede la consistente diminuzione del numero dei senatori, tenendo correttamente conto della diversa connotazione rappresentativa delle due Assemblee. Dal bicameralismo paritario si passerà al bicameralismo differenziato, adottando così una soluzione quasi unanimemente adottata nelle democrazie liberali contemporanee, e prevedendo essenzialmente due distinti procedimenti legislativi a seconda del diverso ruolo assegnato al Senato. Quest’ultimo avrà il compito di dare voce ufficiale al pluralismo delle autonomie territoriali e non sarà più collegato dal rapporto di fiducia con il Governo, cui quindi sarà data maggiore stabilità e capacità di azione.

A differenza di quanto ora previsto, poi, si prevede una tempistica precisa per i procedimenti legislativi, con termini massimi che non potranno essere derogati. Ciò non vuol dire che verrà meno l’indispensabile funzione di contrappeso del Senato: alle leggi relative agli elementi essenziali del nostro ordinamento concorreranno in egual misura entrambe le Assemblee. Tra l’altro, al fine di assicurare la certezza del diritto che tante volte oggi manca, queste leggi dovranno avere ciascuna un proprio oggetto e saranno modificabili solo espressamente. Si intende poi dare effettività al programma di governo sostenuto dalla maggioranza che ha riscosso il sostegno popolare al momento delle elezioni politiche. A tal fine vi sarà anche un’apposita procedura “a data certa” per i provvedimenti legislativi che la Camera, su richiesta dell’esecutivo, considererà cruciali per l’attuazione del programma di governo.

Molti ed incisivi limiti sono poi stabiliti nei confronti della decretazione d’urgenza in modo da contrastare efficacemente quell’uso abusivo e distorto che si verifica da tanti anni.

La riforma accresce poi il sistema complessivo delle garanzie e dei diritti. I regolamenti parlamentari detteranno apposite disposizioni per garantire i diritti delle minoranze parlamentari e per disciplinare lo statuto delle opposizioni.  Ancora, le stesse minoranze parlamentari avranno il potere di chiedere il giudizio preventivo della Corte costituzionale sulle leggi elettorali, in modo da evitare ciò che è successo in passato, cioè che il Parlamento possa essere eletto con leggi incostituzionali. L’appello diretto alla Corte costituzionale, inoltre, sarà previsto anche nei confronti delle vigenti leggi elettorali che, come noto, per la Camera dei deputati prevedono attualmente meccanismi fondati sull’attribuzione di un premio di maggioranza volto a rafforzare la base parlamentare dell’esecutivo. Gli spazi di partecipazione alle decisioni pubbliche saranno poi opportunamente incrementati anche mediante il decisivo irrobustimento dell’iniziativa legislativa popolare che, pur prevista dalla Costituzione, non mai trovato riscontro nelle attività e nelle decisioni del Parlamento. Infatti, i regolamenti parlamentari dovranno finalmente prevedere anche il termine entro il quale le Assemblee saranno tenute a pronunciarsi sul testo di legge proposto dai cittadini.

Circa gli organi di garanzia e gli strumento di controllo sull’operato delle istituzioni rappresentative, si accrescerà il quorum di maggioranza richiesto, in ultima analisi, per l’elezione del Capo dello Stato, aumentandone così il profilo di organo di garanzia del pluralismo politico. Circa la democrazia diretta, si prevede che, in caso di richiesta popolare sostenuta da 800.000 elettori, sarà ridotto il quorum di partecipazione che nei fatti ha spesso impedito l’efficacia dei referendum abrogativi. E si consente a successive leggi costituzionali di introdurre ulteriori forme di referendum (propositivi e di indirizzo) e di consultazione popolare.

Circa i rapporti tra Stato e Regioni la riforma opera un’importante correzione rispondendo ad esigenze di razionalizzazione già indicate dalla Corte Costituzionale e largamente condivise, a partire dalle stesse Regioni. Saranno riportate al centro le decisioni essenziali per il governo dell’intera collettività, saranno mantenute alle Regioni le scelte rilevanti per gli interessi delle rispettive comunità, e si disporrà della clausola di salvaguardia a tutela degli interessi nazionali, che erano stati improvvidamente cancellati con la revisione costituzionale del 2001.

Verrà così meno la potestà concorrente tra Stato e Regioni, che ha prodotto numerosi contenziosi e gravi condizioni di incertezza. Saranno pertanto opportunamente rafforzati gli ambiti di intervento dello Stato nelle materie che richiedono un intervento unitario, come, ad esempio, le grandi infrastrutture, l’energia, la tutela dell’ambiente, le politiche attive e la tutela e la sicurezza del lavoro, i procedimenti amministrativi ed i processi informatici di tutte le pubbliche amministrazioni, e l’ordinamento delle professioni. Si disporrà così di chiari riferimenti istituzionali e normativi e sarà possibile quella governance unitaria che finora è mancata, mentre, in virtù della competenza residuale che resterà in capo alle Regioni, queste ultime potranno declinare gli indirizzi unitari in coerenza con le esigenze del rispettivo territorio.

Infine si inseriscono importanti principi innovativi, come quelli della semplificazione e della trasparenza delle pubbliche amministrazioni. Soprattutto, gli enti territoriali, che molti compiti amministrativi continueranno ad esercitare, saranno tenuti al rispetto dei costi standard, così assicurando maggiore efficienza e qualità ai servizi offerti.

In definitiva, è una riforma che si muove nel senso dell’efficienza delle istituzioni, della stabilità dell’assetto decisionale, dell’ampliamento delle garanzie e dei diritti, della chiarezza delle responsabilità pubbliche, e del corretto impiego delle risorse pubbliche. Una riforma che rafforza la liberaldemocrazia.